La lavorazione della pietra è un’arte le cui origini vanno ricercate agli albori della storia dell’uomo. Circa due milioni e mezzo di anni fa, con la comparsa in Africa del primo rappresentante del genere Homo, Homo habilis, fanno la loro comparsa anche i primi utensili in pietra che testimoniano la volontà, da parte dei primi ominidi, di dotarsi di strumenti che potessero facilitare lo svolgimento di operazioni elementari. Siamo agli inizi del Paleolitico, il periodo più antico dell’età della pietra, e i primi uomini vivono totalmente immersi nella natura che rappresenta per loro sia una fonte di sostentamento, sia un ambiente ostile e pieno di minacce da cui difendersi. Non essendo ancora dotati di capacità intellettive tali da elaborare strategie di caccia, gli ominidi del Paleolitico Inferiore si nutrono prevalentemente di vegetali e delle carcasse che costituiscono i resti del pasto dei grandi predatori. E’ in questo scenario che viene ideato e realizzato il primo utensile in pietra della storia. Viene chiamato chopper e non è altro che un ciottolo dotato di uno spigolo tagliente che è stato prodotto asportando del materiale per percussione. Frequenti, in questa fase, sono anche i cosiddetti chopping tool, strumenti su ciottolo tagliati su due facce. Questo tipo di attrezzi rappresentano una versione arcaica dei più famosi bifacciali, o amigdale, o, per gli anglosassoni, hand axes, largamente utilizzati nel Paleolitico Inferiore e Medio, anche in Europa. I punti di forza di questi antichi strumenti erano la robustezza e il peso, necessari a tagliare carne e tendini durante il sezionamento di una carcassa e a rompere le ossa per cibarsi del midollo, ricco di sostanze nutrienti. Di diversa concezione erano invece gli strumenti su scheggia, anch’essi prodotti ed utilizzati fin dalle prime fasi dell’esistenza dell’uomo. Un blocco di roccia, anche di notevoli dimensioni, veniva percosso con altre pietre, aventi funzione di rudimentali martelli, al fine di staccare delle schegge abbastanza taglienti da poter essere utilizzate subito, senza ulteriori lavorazioni. Dunque uno strumento su scheggia non è altro che un frammento di roccia con una buona capacità di taglio. Stiamo parlando di una tecnologia molto semplice, dove i gesti compiuti dallo scheggiatore erano elementari e la procedura poco standardizzata. Si pensa che gli utensili venissero prodotti nel momento del bisogno, utilizzando la materia prima che si aveva immediatamente a disposizione e poi abbandonati dopo l’uso. Conviene spendere qualche parola riguardo la materia prima perché, se nelle prime fasi della Preistoria si lavorava con ciò che si aveva a disposizione, in periodi più recenti gli archeologi sono riusciti a documentare una selettività nella scelta delle rocce da impiegare per la produzione di utensili da taglio. L’uomo si rende conto che esistono materie prime che sono migliori delle altre e comincia a percorrere anche grandi distanze pur di procurarsele. È il caso del villaggio neolitico della Marmotta, rinvenuto sulle rive del lago di Bracciano, i cui abitanti lavoravano ossidiana proveniente da Lipari o quello di Ötzi, il famosissimo uomo dei ghiacci della Val Senales, che possedeva utensili in selce proveniente dai monti della Lessinia. Erano dunque la selce e l’ossidiana le pietre maggiormente utilizzate dai nostri antenati per la produzione dei loro utensili, come testimonia l’ampia serie di ritrovamenti di cui l’archeologia dispone. Si tratta di rocce contenenti silicio, estremamente dure e generalmente omogenee, ossia prive di impurità al loro interno. Se percosse si rompono dando vita a schegge molto taglienti e in grado di mantenere il filo anche dopo diversi utilizzi. La selce è una roccia sedimentaria che in Italia trova la sua maggior diffusione nella Puglia garganica e sui monti della Lessinia, in Veneto. L’ossidiana ha invece origini vulcaniche, è prodotta dal raffreddamento repentino della lava; i principali centri di estrazione in Italia sono Lipari e il massiccio del monte Arci in Sardegna. Senza voler entrare nel dettaglio delle tecniche di scheggiatura, argomento assai lungo e complesso, vediamo ora a grandi linee in cosa consiste la percussione diretta e quali sono i gesti da compiere per ottenere un frammento tagliente da un blocco di roccia. Quello che ci serve è un percussore, ossia un martello, con il quale colpire direttamente il nucleo che vogliamo lavorare. Esiste una variante, chiamata percussione indiretta, nella quale si interpone uno scalpello tra il percussore ed il nucleo di roccia; è una tecnica avanzata e la sua trattazione esula dagli scopi del nostro discorso. Il percussore può essere di tipo tradizionale, realizzato cioè con le stesse materie prime di cui disponevano gli scheggiatori primitivi, oppure moderno. I percussori tradizionali di più facile reperibilità sono dei semplici ciottoli rotondi, di peso e dimensioni differenti. Molto efficaci sono anche quelli realizzati con frammenti di corna, tipicamente di cervo, renna o alce. I percussori litici sono detti duri perché, essendo più densi e pesanti rispetto al corno, impattano sulla roccia in maniera più decisa e producono frammenti più spessi. I percussori in corno sono detti morbidi e si utilizzano quando si vogliono rimuovere porzioni più sottili. Esistono varianti moderne dei percussori tradizionali, realizzate in legno e rame e molto utilizzate al di fuori dell’ambito accademico. Altri elementi necessari durante le operazioni di scheggiatura sono dei ritagli di cuoio e dei guanti per maneggiare in sicurezza la roccia tagliente e degli occhiali per proteggere gli occhi. Considerando che la lavorazione della selce produce polveri potenzialmente nocive è consigliato l’uso di apposite mascherine per salvaguardare le vie aeree. Si lavora seduti appoggiando il blocco di roccia da lavorare sulla coscia oppure tenendolo in mano se il peso è tale da poterlo fare agevolmente. Il colpo deve essere portato con decisione in corrispondenza di un bordo dove ci siano degli angoli e delle convessità idonee. La percussione diretta è una tecnica relativamente semplice ma nello stesso tempo molto efficace perché permette di produrre, con un unico colpo, frammenti che presentano la quasi totalità del bordo affilato. Vibrando il colpo in maniera molto accurata si possono produrre delle vere e proprie lame, che si distinguono dalle schegge per la tipica forma allungata. Lo scheggiatore esperto sa come sfruttare al meglio un nucleo di selce per produrre il maggior numero possibile di supporti taglienti minimizzando la quantità di scarti prodotta. Merita un cenno a questo punto la tecnica del ritocco a pressione che consente di ricavare, da un frammento ottenuto per percussione diretta, una punta, un raschiatoio o un altro elemento più complesso. Gli strumenti da utilizzare in questo caso sono dei ritoccatori, una sorta di punzoni con i quali si preme sulla scheggia che si vuole lavorare asportando via via piccole porzioni di materiale.
1 Comment
Pierpaolo Savio
27/3/2021 19:00:47
Trovo il tutto interessantissimo. Atteso che vivo nell'isola di Maiorca (Baleari) dove posso trovare un ritoccatore? E'acquistabile in internet?
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AutoreLivio Astorino Archivi
Maggio 2020
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