Il 19 settembre del 1991 Helmut e Erika Simon, una coppia di tedeschi di Norimberga in vacanza in Alto Adige, rinvengono casualmente, durante un’escursione alle pendici del Similaun, in Val Senales, un cadavere in perfetto stato di conservazione che affiora dal ghiaccio. Dopo il recupero e i primi studi effettuati dai ricercatori dell’Università di Innsbruck, si scopre che quel corpo appartiene ad un uomo vissuto nell’Età del Rame (detta anche Calcolitico), in un’epoca compresa tra il 3300 e il 3100 a.C. Ötzi, questo è il nome che gli viene dato, è un reperto antropologico di eccezionale importanza per gli studiosi della Preistoria e viene da molti considerato la scoperta archeologica del secolo. L’ampio corredo di oggetti che portava con sé al momento della morte e che sono stati successivamente recuperati dagli archeologi che hanno condotto campagne di scavo sul luogo del ritrovamento, permette di ricostruire con notevole precisione diversi aspetti della vita quotidiana e delle abitudini degli uomini che popolavano la regione alpina prima della costruzione della Piramide di Cheope. In questo articolo voglio soffermarmi su alcuni di quegli oggetti, quelli contenuti all’interno della tasca del marsupio in pelle di vitello che Ötzi portava alla cintura. Un raschiatoio in selce ed una massa nera, in seguito identificata come fungo esca, costituivano con buona probabilità un kit per l’accensione del fuoco ma…procediamo con ordine. Le tracce più antiche di focolari che l’archeologia abbia mai rinvenuto provengono da vari siti della località di Chesowanja, in Kenya. Parliamo di evidenze datate tra 1,5 e 1,3 milioni di anni fa ed è estremamente difficile stabilire con certezza se, in epoche così remote, esistesse già un uso controllato del fuoco da parte dei primi gruppi di ominidi africani. Per quanto riguarda l’Europa, il controllo del fuoco si data a circa 400.000 anni fa con tracce di combustione in diverse località della Francia e in Ungheria. In queste fasi antiche del Paleolitico si è riusciti, non senza qualche difficoltà, ad attestare un uso intenzionale del fuoco ma non si hanno indizi su quali fossero i metodi di accensione. Dai siti di Laussel (Francia) e Star Carr (Inghilterra) provengono i primi reperti, risalenti al Paleolitico superiore, grazie ai quali si è potuto cominciare a formulare ipotesi ed effettuare prove sperimentali, riguardo le tecniche di accensione del fuoco utilizzate nella Preistoria europea. Si tratta di solfuri di ferro con tracce evidenti di percussione e resti di diverse varietà di funghi lignicoli. In Italia il ritrovamento più importante per quando riguarda lo studio delle tecniche primitive di accensione del fuoco è sicuramente quello di Ötzi, conviene quindi tornare all’esame del set di utensili contenuto nel marsupio dell’uomo del Similaun a cui abbiamo accennato sopra. Cosa lega dei frammenti di selce a dei resti di fungo della specie Fomes fomentarius sui quali è stata individuata polvere di solfuro di ferro? È ipotizzabile che questi elementi costituissero i pezzi di un unico “accendino” che Ötzi portava con sé durante i suoi spostamenti sulle montagne dell’Alto Adige di 5300 anni fa. I solfuri naturali di ferro (pirite e marcassite) sono minerali contenenti ferro e zolfo con una struttura chimica che ne aumenta la sensibilità alla combustione. Per questo, se percossi con una pietra dura, producono scintille abbastanza calde e durature da poter essere indirizzate su un’opportuna esca, rappresentata dal Fomes fomentarius, o meglio, dalla sua parte interna detta “amadou” che è particolarmente sensibile alla scintilla. Le pietre adatte a percuotere i solfuri di ferro sono quelle dure e compatte come le selci o i quarzi. Per questo e per il loro utilizzo nei meccanismi delle prime armi da fuoco, vengono dette “pietre focaie”. Avendo a disposizione un pezzo di pirite del tipo microgranulare, un ciottolo di selce e del fungo esca è possibile realizzare una semplice sperimentazione che riproduce quella che doveva essere la tecnica utilizzata dall’uomo del Similaun per accendere il fuoco. Si parte con la preparazione dell’esca aprendo il Fomes fomentarius ed estraendo, tramite raschiatura, dei trucioli di amadou che saranno depositati in un contenitore. Si percuote la pirite con il ciottolo di selce in modo che le scintille prodotte cadano sui trucioli di fungo esca fino a produrre una combustione. Le braci così prodotte vengono depositate delicatamente all’interno di un nido realizzato con dell’erba secca e vengono alimentate soffiando sul nido fino ad ottenere una fiamma. È interessante a questo punto soffermarsi su un altro componente del corredo di Ötzi, rinvenuto insieme a molti altri elementi nelle immediate vicinanze del cadavere. Si tratta dei resti di due recipienti cilindrici realizzati in corteccia di betulla uno dei quali era molto probabilmente un portabraci. Al suo interno sono infatti stati trovati resti di foglie di acero colte fresche e di carbone vegetale. Questi incredibili ritrovamenti attestano che gli abitanti delle regioni alpine di 5300 anni fa non solo erano in grado di accendere il fuoco ma riuscivano anche a trasportarlo in maniera ingegnosa. Nel video che segue vedrete riprodotti i passaggi fin qui spiegati in un esperimento di accensione e trasporto del fuoco realizzato e filmato per il nostro canale YouTube.
2 Commenti
luca restelli
5/2/2021 09:27:00
gentilissimi
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6/11/2022 03:08:23
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AutoreLivio Astorino Archivi
Gennaio 2021
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