Quando si parla di Preistoria non si può non parlare di pietra dato che questa materia prima naturale è stata utilizzata dai nostri antenati per un periodo lunghissimo. I primi manufatti in pietra fanno la loro comparsa in Africa circa due milioni e mezzo di anni fa, contestualmente con l’entrata in scena di Homo habilis, il più antico rappresentante del nostro genere. La particolare composizione chimica delle rocce dalle quali sono stati ricavati all’epoca gli hanno permesso di sopravvivere al tempo e di arrivare pressoché intatti ai giorni nostri. È grazie a questi utensili e agli studi effettuati su di essi che gli archeologi hanno potuto avanzare ipotesi verosimili sullo stile di vita e sulle abitudini dei nostri predecessori vissuti nel Paleolitico. Quando per la prima volta, diversi anni fa, mi sono approcciato allo studio delle tecniche di lavorazione della pietra, ho capito subito che alcune rocce erano più adatte di altre per la fabbricazione di utensili da taglio. Mi sono chiesto se anche gli uomini della Preistoria fossero in grado di distinguere le rocce “buone” da quelle “meno buone” e se anche loro facessero una selezione delle materie prime. Studiando sui libri e visitando musei mi sono accorto che effettivamente è così. Gli scheggiatori del Paleolitico prediligevano rocce dure dalle quali poter ricavare frammenti dai bordi taglienti e a volte non esitavano a percorrere anche decine di chilometri pur di accaparrarsi queste preziose risorse. Tra le materie prime utilizzate in Preistoria la più famosa è sicuramente la selce, una roccia sedimentaria molto dura caratterizzata da un tipo di frattura particolare. Frequentemente viene identificata come “pietra focaia” in riferimento al suo utilizzo nell’accensione del fuoco prima dell’invenzione dei fiammiferi. La selce veniva percossa contro un acciarino in ferro per produrre scintille in grado di accendere un’esca, tecnologia, questa, che trovò applicazione anche nelle prime armi da fuoco del XIV secolo. Cosa conferisce a questa roccia proprietà tanto interessanti e come hanno fatto i manufatti in selce degli uomini primitivi a sopravvivere per centinaia di migliaia di anni senza degradarsi, arrivando intatti ai giorni nostri? Una roccia non è altro che un insieme di minerali ossia un insieme di sostanze naturali solide ciascuna identificabile attraverso una ben precisa formula chimica e ciascuna avente un particolare reticolo cristallino (disposizione ordinata e regolare degli atomi dalla quale si origina il cristallo del minerale). La selce è quasi interamente composta dal minerale quarzo (SiO2) e da sue varianti. Si tratta di una sostanza molto dura (7, su una scala da 1 a 10), dall’elevata massa volumica (2,65 g/cm3) e particolarmente resistente alla degradazione chimica da parte degli agenti atmosferici. Il tipo di reticolo cristallino del quarzo e delle sue varianti conferisce alla selce la tipica frattura concoidale. Si tratta di una frattura che produce superfici lisce, curve e leggermente concave, che mostrano linee ondulate concentriche; i bordi risultano affilati. Diversi materiali silicei a grana fine o amorfi (che non hanno un reticolo cristallino) si rompono in questo modo, un perfetto esempio è rappresentato dall’ossidiana. Un altro aspetto interessante da approfondire è quello dei meccanismi attraverso i quali si è formata la selce. Delle semplici nozioni di geologia possono aiutarci a capire dove trovare e come riconoscere questa roccia. Alcuni tipi di selci hanno un’origine biogenica e devono la loro formazione al progressivo accumulo sui fondali marini dei gusci silicei di organismi quali Diatomee, Radiolari e Spugne silicee; formano degli strati regolari, in genere di modesto spessore. Altri tipi di selci si generano invece per via diagenetica, ossia tramite trasformazioni chimico-fisiche subite dai sedimenti; queste si presentano in forma di lenti, noduli e masserelle sferoidali all’interno di rocce carbonatiche. Dunque, dove ci sono grosse formazioni calcaree, li si può trovare della selce. Le foto che seguono sono state scattate a Stevns Klint, nel sud dell’isola di Sjaelland, in Danimarca. All’interno delle imponenti scogliere calcaree si possono distinguere selci stratificate e selci nodulari dalle caratteristiche forme tondeggianti e rivestite all’esterno da un cortice, anch’esso calcareo; la spiaggia è interamente composta da ciottoli levigati dalla corrente. La pietra di Stevns Klint assume tonalità generalmente grigie e si presenta traslucida e vetrosa, con pochissime inclusioni: sicuramente un’ottima materia prima per la produzione di manufatti litici. In altri siti è possibile trovare materiale più eterogeneo dal punto di vista della finitura superficiale e dei colori. Nella Puglia garganica, una delle zone di maggior giacitura nel nostro paese, c’è un abbondante varietà di selci che spesso si trovano negli alvei dei torrenti, laddove l’acqua ha progressivamente eroso rocce carbonatiche. Possono avere colorazioni diverse (dal giallo chiaro al grigio bruno) e presentarsi lucide o opache. Indicatori utili per riconoscerle, oltre alla geologia dei luoghi, sono sicuramente il peso, la caratteristica frattura concoide, il rumore secco e vetroso che si ottiene percuotendole e la capacità di produrre scintille dall’urto con utensili in ferro.
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AutoreLivio Astorino Archivi
Gennaio 2021
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